Le persone come chiave della Experience Economy
Ho conosciuto Emma Pisati in occasione dell’evento Rising Experience, che si è tenuto lo scorso novembre a Milano.
Laureata in filosofia, e si occupa dal 2015 di web editing e content management per l’agenzia di design delle relazioni L’Ippocastano, curando in particolare le pubblicazioni all’interno delle due testate specialistiche online CMI Customer Management Insights ed HEI Human Experience Insights.
Mi è venuto subito spontaneo farle qualche domanda a proposito di persone, organizzazioni, relazioni…
Cosa è HEI e perché nasce?
HEI Human Experience Insights è un ecosistema fisico e digitale che la nostra agenzia di design delle relazioni L’Ippocastano ha deciso di creare con un obiettivo: contribuire alla diffusione di una nuova cultura aziendale che riconosca la centralità delle persone all’interno delle organizzazioni. Dal 2012 ci occupiamo di Customer Experience e Customer Centricity attraverso l’altro nostro ecosistema, CMI Customer Management Insights: proprio da questa esperienza abbiamo capito quanto sia importante occuparsi delle persone nelle organizzazioni. Sono le persone, infatti, la chiave dell’Experience Economy, e oggi parliamo di People Experience perché i singoli individui che operano all’interno delle aziende sono il cuore pulsante che ne determina il successo o la mera sopravvivenza sul mercato. Trascurare le proprie risorse umane provoca tanti danni quanto trascurare i propri clienti: per questo con HEI ci impegniamo a fornire occasioni di approfondimento, incontro e formazione su tutti i “temi caldi” connessi a Human Centricity, Human Experience e Work Transformation.
Qual è la situazione attuale per quanto riguarda il benessere organizzativo delle aziende italiane?
Penso che l’attenzione nei confronti del benessere organizzativo si stia progressivamente diffondendo all’interno delle imprese italiane, benché forse con ritmi e capacità di penetrazione differenti. Il cammino è lungo, ma le possibilità non mancano. Chi cerca ispirazione per orientare il cambiamento culturale e organizzativo può innanzitutto contare su una preziosa tradizione di eccellenze italiane capaci di far vivere l’azienda non banalmente come luogo di produzione e profitto, ma come vera e propria comunità attenta alle esigenze delle persone che ne fanno parte o che vi gravitano attorno, alla loro valorizzazione e crescita, al raggiungimento di livelli di qualità di vita e lavoro sempre più elevati. In aggiunta, gli esempi virtuosi della contemporaneità mostrano come la strada da percorrere nell’immediato futuro non sia più quella orientata principalmente o esclusivamente alla tutela degli interessi degli azionisti: il successo duraturo oggi si fonda in primis sul commitment e la soddisfazione dei dipendenti, sulla capacità di farli sentire parte integrante e preziosa del brand per cui lavorano e di cui devono poter condividere valori e obiettivi. Tutto questo contribuisce alla diffusione di consapevolezza in materia, e credo che un numero crescente di aziende nel nostro Paese – come in altre parti del mondo – sappia ormai di dover diventare sempre più “a misura di persona”.
Nell’evento “Rising Experience” abbiamo visto modalità innovative per selezionare nuovi collaboratori e ingaggiarli una volta che sono entrati in azienda. Quanto le organizzazioni sono davvero sensibili e pronte a cambiare il loro modus operandi per lasciarsi contaminare da tutte queste novità?
Premesso che, a tal proposito, rischio di trovarmi in una “bolla felice” in cui il numero di realtà aziendali attente e sensibili alle tematiche connesse alla Human Centricity supera quello delle aziende più tradizionaliste, trovo che il nocciolo della questione sia tutto nel termine contaminazione. Anche le organizzazioni più restie al cambiamento e non particolarmente lungimiranti nell’adottare proattivamente una cultura al passo con l’Umanesimo digitale, infatti, si troveranno sempre più permeate da “corpi estranei” che un simile cambiamento se lo aspettano eccome, e sono pronti a promuoverlo. Un’epidemia assolutamente positiva per la crescita economica delle imprese, non dimentichiamolo, veicolata da lavoratori, candidati e talenti più o meno giovani, che muove verso una trasformazione del mondo del lavoro in cui ciascuno possa essere sempre più protagonista e libero di esprimere le proprie idee e capacità, vedendole riconosciute e valorizzate, e ritrovando così un rapporto creativo con le attività svolte, capace di condurre a una piena affermazione e realizzazione professionale. Questo ci si aspetta e questo si vuole oggi; e per trovarlo si è pronti, se necessario, a cambiare luogo di lavoro una, due, dieci volte. È per questo che le aziende devono essere pronte a trasformarsi se vogliono garantirsi le persone migliori e se desiderano restare competitive sul mercato. Per chi ancora non lo ha fatto, il consiglio è uno solo: change before you have to.
A tuo avviso cosa serve per cambiare la cultura conservativa e tradizionalista che sembra farla da padrona nelle aziende italiane?
Come per ogni cambiamento, penso che la possibilità di una trasformazione effettiva e duratura passi dal coinvolgimento e dal contributo di ogni individuo. Da un lato manager e dirigenti devono aprirsi al confronto, alla contaminazione culturale e professionale, perché il cambiamento è costante e conquistare le “stanze del potere” non equivale a non avere più nulla da imparare o da sperimentare. Dall’altro è diritto e compito di ciascuna persona – e non mi riferisco qui solo ai cosiddetti talenti di cui tutti parlano, dal momento che ogni individuo ha delle competenze e delle qualità uniche, frutto della sua formazione, della sua sensibilità, delle sue esperienze – ritagliarsi un ruolo attivo nel cambiamento, assumendosi le responsabilità che questo comporta. Oggi si sta parlando di Umanesimo e Rinascimento digitali; facendo un passo ulteriore, credo che in futuro dovremo realizzare anche un Illuminismo digitale, dove con Illuminismo intendo – rispolverando Kant e i miei studi di filosofia – la capacità di servirsi della propria ragione, di pensare come soggetti autonomi. La possibilità di lasciarsi alle spalle tradizione e conservatorismo non cala dall’alto e non può essere imposta esclusivamente dal basso: a mio avviso il successo trasformativo può essere ottenuto incontrandosi e confrontandosi nel mezzo, tra pari, per poi definire insieme il cammino comune da seguire.