Il fattore critico di successo del Retail
È stato un Black Friday da record, lo avete letto tutti: secondo un report rilasciato da Adobe, le vendite online hanno raggiunto la cifra 3,34 miliardi di dollari, con una crescita del 21,6% rispetto allo scorso anno. Anche l’Italia non è stata da meno: Amazon.it ha dichiarato che il 25 novembre 2016 è stata la giornata con il maggior numero di vendite della sua storia: oltre 1,1 milioni di prodotti acquistati.
Stiamo parlando di numeri piccoli rispetto agli acquisti che avvengono fisicamente in negozio, è però un dato di fatto che lo shopping online sia in crescita, mentre si sente da più parti che il futuro dei punti vendita, i cosiddetti brick and mortar, non è affatto roseo. Il risultato di Amazon.it dimostra che l’Italia è perfettamente in linea con quello che ormai è un trend internazionale.
C’è qualcosa che il retail tradizionale può fare per cercare di invertire il trend, o comunque di rallentarlo, oppure deve semplicemente restare a guardare il suo triste, inevitabile destino?
Le strade possono essere diverse, tutte ugualmente valide: c’è chi consiglia di sfruttare gli strumenti messi a disposizione dal digitale per favorire il traffico in store, secondo una logica omnichannel; chi parla di abbracciare le opportunità offerte dalla tecnologia (leggi ad esempio VR e AR) per accrescere l’esperienza e l’engagement nel punto vendita, differenziandosi in questo modo dai competitor online che se da un lato possono offrire prodotti ad un prezzo più basso e con un servizio più efficiente, difficilmente, almeno sulla carta, posso competere con un negozio tradizionale quando si parla di trasmettere valori di marca, esperienza memorabile ed engagement.
In realtà, il retail ha un vantaggio competitivo enorme rispetto all’e-commerce, che poche aziende sembrano aver compreso appieno: sto parlando del famoso “fattore H”, cioè le persone.
Si è disposti a investire in tecnologia per far vivere al cliente un’esperienza memorabile, senza pensare che è innanzitutto il personale all’interno del punto vendita a trasmettere questa esperienza e quindi è sulla formazione dei dipendenti che occorre investire in primis.
Possiamo essere nel negozio più bello del mondo, ma se chi ci lavora è scostante o addirittura scortese, è questo che ci ricorderemo, che ci metterà a disagio, che non ci farà concludere l’acquisto e ci porterà comprare online, dove invece hanno capito bene che il loro punto di debolezza rispetto a un negozio fisico è proprio l’assenza del “fattore H” e quindi stanno lavorando per cercare di aggiungere un tocco umano (ne ho già scritto nel mio post precedente).
Quanto più i siti di e-commerce ci riusciranno, tanto più il retail tradizionale sarà destinato a scomparire.
Quanti sono i negozi che voi frequentate dove ogni volta che uscite siete completamente soddisfatti dell’esperienza d’acquisto? Siate sinceri… Qualche giorno fa un amico mi faceva notare che spesso quando entri in un negozio i commessi, anziché accoglierti con un sorriso, ti guardano con un’espressione che vuole dire: “Ecco un altro rompiscatole…”. Non è di certo il modo migliore per cominciare una conversazione, per prendere il cliente per mano e aiutarlo a concludere l’acquisto.
Nella processo e nella decisione d’acquisto entrano in gioco vari fattori, la discriminante non è solo il prezzo; al contrario, l’esperienza è fondamentale. E allora perché non lavorare per renderla memorabile? Dopotutto lo scrivevo già tanto tempo fa: la quinta P del marketing sono le Persone…
Prima di pensare a portare in store “nani e ballerine”, bisogna lavorare sulla formazione del personale, su chi è a contatto quotidianamente con i clienti, perché li facciano sentire benvenuti, coccolati e, nel momento in cui lasciano il punto vendita, con la voglia di tornare al più presto, o comunque con un ricordo positivo.
Come scriveva la poetessa Maya Angelou: “Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatti sentire.”