Vuoi prenderti cura dei tuoi clienti? Comincia col prenderti cura dei tuoi dipendenti

Oltre un mese fa ho partecipato a un interessante incontro sulla Customer Experience, il CX2020.

Tra i vari contenuti mi è rimasta impressa una slide che mostrava i risultati di una ricerca realizzata da Kantar in UK, secondo la quale il 91% dei CEO ritiene che la cosiddetta customer centricity, vale a la centralità del cliente in tutte le attività dell’azienda,sia fondamentale per la crescita e lo sviluppo del business. La stessa ricerca mostra però come solo il 19% dei clienti abbia la percezione che i brand da loro utilizzati siano davvero “customer centric”.

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“Something went missing”, direbbero sempre gli inglesi.

Sapete perché succede? È tutta una questione di execution
Tanti business plan che sulla carta sono perfetti si rivelano a posteriori un fallimento, non tanto perché sbagliata la parte di analisi o la definizione degli obiettivi, ma semplicemente perché l’esecuzione non è avvenuta come previsto.

Saper trasformare le (buone) intenzioni in azioni concrete che coinvolgano l’intera organizzazione è lo scoglio più grande contro il quale gran parte delle aziende va a sbattere.
I motivi possono essere diversi, ma oggi voglio parlarvi di uno in particolare: se davvero un’azienda vuole mettere il cliente al centro, deve innanzitutto prendersi cura dei suoi dipendenti.

Viviamo in un’epoca in cui, soprattutto in alcuni settori, possiamo sapere tutto (o quasi) del nostro cliente: dove si trova, cosa gli piace, quali sono gli strumenti e i canali attraverso i quali preferisce relazionarsi con la nostra azienda, quante volte consulta online il nostro sito prima di recarsi in negozio e acquistare, etc.
L’obiettivo ultimo di tutti questi dati è semplificare la vita del potenziale cliente, garantendogli una cosiddetta seamless experience, un’esperienza senza frizioni.

Insomma, un’attenzione quasi spasmodica nei confronti di chi è interessato all’acquisto del nostro prodotto, decisamente meno attenzione verso chi deve garantire al cliente un’esperienza memorabile.

Eppure una volta che il cliente entra in un negozio, è un dipendente che lo accoglie e se ne occupa (si spera al meglio). Se il cliente ha un problema e chiama il servizio assistenza, c’è qualcuno dall’altra parte che si deve fare carico delle sue esigenze; se invece ricorre al servizio di social customer service, dopo aver probabilmente passato il primo filtro del chatbot, è comunque una persona in carne ed ossa che cerca di risolvergli il problema nel più breve tempo possibile (e si spera anche nel modo migliore).

Senza dimenticare poi che tra i vari pubblici di un’azienda non c’è solo chi compra, ma anche chi a vario titolo si relaziona con lei, vale a dire i diversi stakeholder.

Perché un’azienda non debba più affidarsi ai “si spera” e possa ridurre le insicurezze relative alla customer experience (o alla più generica stakeholder experience), deve cominciare ad abituarsi all’idea che è necessario prendersi cura innanzitutto della cosiddetta employee experience, cioè dell’esperienza che i collaboratori vivono all’interno dell’organizzazione.

Occorre cercare di comprendere gli insight, cioè le motivazioni implicite e profonde che spiegano perché un dipendente sceglie di stare in azienda, al di là della retribuzione; capire cosa lo fa stare bene e quali sono invece i suoi point of pain; quali sono i bisogni inespressi che guidano i suoi comportamenti all’interno dell’organizzazione; quali sono i suoi “perché”, volendo citare Simon Sinek.

Una volta identificati gli insight più importanti, e partendo dallo stato dell’arte, occorre lavorare sulla motivazione e sull’ingaggio dei collaboratori, perché la loro soddisfazione si trasferisca sui clienti.
Ci sono vari modi per farlo, non esiste una soluzione universale; la cosa migliore è che ciascuna azienda trovi la modalità più efficace anche in riferimento alla propria storia e cultura aziendale.

Dipendenti felici significa clienti soddisfatti. Pensate cosa vuol dire questo per il vostro business…

Lo so che sembra particolarmente difficile, ma in realtà non lo è. Se ci pensate, il cosiddetto fattore H è ancora uno dei principali vantaggi competitivi su cui un’azienda può puntare: nel momento in cui la tecnologia diventa un bene diffuso e sempre più accessibile, la differenza la fanno le persone, come ho già avuto modo di scrivere in un post del 2012, dal titolo: “La Quinta P del marketing: People”. 

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