La Quinta P del marketing: People
Quante volte vi è capitato di entrare in un negozio, oppure di cercare di parlare con qualcuno all’interno di un’azienda (da chi si occupa di assistenza tecnica fino all’amministrazione) e restare delusi, per non dire insoddisfatti, dell’esperienza? A me tante. Vi potrei raccontare di quando ero in un punto vendita di una gelateria famosa a livello internazionale e ho letto su un flyer di una promozione destinata ai bambini. Ho chiesto informazioni e la commessa mi ha trattato in maniera abbastanza scortese dicendo che non esisteva alcuna promozione. Evidentemente nessuno l'aveva messa al corrente dell'iniziativa... Qualità del prodotto ottimo, ottima immagine aziendale, esperienza rovinata. Oppure potrei dirvi di quando sono entrata in un negozio di arredamento alla ricerca di sedie e il commesso mi ha trattato come se mi stesse facendo un favore dandomi informazioni sui prodotti. Sono uscita convinta che non avrei mai acquistato da lui. Quante volte la comunicazione pubblicitaria è perfetta, l’attività di ufficio stampa/PR funziona benissimo e poi il primo punto di contatto con l’azienda è scadente? Contrariamente a quelli che sostengono che le 4 P siano ormai morte, io accanto a Product, Price, Place e Promotion aggiungerei una quinta, imprescindibile P: People. Sono sempre più le persone, o meglio, il personale aziendale, a fare la differenza. Eppure sono moltissime le aziende che trascurano proprio questo aspetto, destinando poche (o nessuna) risorse alla formazione dei dipendenti. Un cliente scontento significa brand experience negativa e, nel lungo periodo, mancato fatturato, perché un consumatore insoddisfatto si rivolgerà altrove. E questo non dovrebbe mai succedere, a maggior ragione in un periodo di crisi come questo, in cui ogni cliente “vale oro”. Allora forse è preferibile tagliare qualche spot dal piano media (tanto sono sempre meno le persone che guardano la TV…) e investire sui dipendenti, i primi veri brand ambassador di un’azienda. Checché se ne dica. Perché come scriveva Bill Taylor qualche settimana fa su HBR: "It is more important to be kind than clever".