L'interruption marketing di Facebook

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Ho scritto più volte che il cosiddetto interruption marketing è morto, o comunque non sta troppo bene. In un momento in cui lo storytelling è fondamentale per riuscire a catturare l’attenzione del consumatore, le persone non vogliono che la narrazione a cui stanno assistendo (o addirittura partecipando) sia interrotta da alcun messaggio pubblicitario, o da qualunque messaggio che risulti invasivo. Sembrava averlo capito molto bene Facebook, che ha introdotto accanto all’ADV tradizionale anche le sponsored stories prima e i promoted posts poi, entrambi con l’obiettivo di garantire una maggiore visibilità a una notizia o a una storia all’interno del feed già esistente, in maniera coerente col resto della narrazione, o comunque con l’effetto intrusione ridotto al minimo.

E’ invece di qualche giorno fa la notizia che Facebook sta testando un'opzione che consentirebbe di inviare messaggi anche a persone che non sono nella propria cerchia di amici. Il tutto per la “modica” cifra di un dollaro a messaggio.

Questa scelta mi sembra un passo indietro, potenzialmente un elemento di disturbo molto forte per l’utente, soprattutto per alcune categorie “a rischio” (penso ad esempio ai giornalisti che rischiano di ritrovarsi sommersi da comunicati stampa, oppure ai politici. Ma non solo).

Da una parte capisco il desiderio di Facebook di trovare nuove forme di guadagno, esigenza che pare ancora più impellente dopo la quotazione in borsa. Ma quanto è disposto a rinunciare alla soddisfazione dei suoi clienti in nome del profitto?

Credo che le due cose siano collegate e che il profitto si ottenga nel momento in cui i consumatori si sentono ascoltati e magari addirittura coccolati. Non di certo disturbati. Ma forse qualcuno in Facebook l’ha dimenticato.