Il Made in Italy

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Questo annuncio a firma Natuzzi è uscito il 24 dicembre sul Corriere della Sera. Mi ha fatto subito pensare alla matrice strategica di Porter e alla differenziazione come strategia di crescita. Solo attraverso la differenziazione un’azienda può sperare di ottenere un vantaggio competitivo sostenibile. E questo principio vale a maggior ragione in mercati come il nostro, dove la leadership di costo (altra strategia di crescita) è difficile, se non impossibile da raggiungere. In moltissimi settori non possiamo competere con il prezzo praticato, ad esempio, da aziende cinesi; allora perché non capitalizzare sul concetto di made in Italy? Se consideriamo il made in Italy come se fosse un brand (e a tutti gli effetti può essere considerato tale), si riduce o addirittura si annulla la necessità di basare la concorrenza solo prezzo, in un gioco al ribasso dove le aziende italiane ne escono comunque perdenti . Si passa da una relazione azienda/consumatore basata sulla pura transazione ad una relazione emozionale, in cui la competizione avviene principalmente sulla base di attributi intangibili. Se devo pensare agli intangible asset del made in Italy, direi innanzitutto stile e qualità. Da una concorrenza sul prezzo, tipica dei beni commodity, ad una fedeltà alla marca che è l’obiettivo ultimo di ogni strategia di brand management. Mi rendo conto che è più facile a dirsi che a farsi, perché una strategia del genere richiede dedizione e costanza e i risultati sono evidenti solo nel medio lungo periodo. Però sono convinta che non ci siano alternative. Puntare sull’unicità del made in Italy per ottenere consumatori fedeli e disposti a pagare di più pur di avere esattamente quel prodotto, non un’imitazione. Non è ciò che le aziende vanno cercando?