Guerrilla marketing per la Basilicata
Questo il titolo di un articolo apparso sul web qualche giorno fa.Memore del contest promosso dall’Agenzia di promozione del turismo della regione Basilicata e del bellissimo video vincitore Dreaming in Italy realizzato da Matthew Brown, mi aspettavo qualcosa di altrettanto originale.
Invece scopro che si tratta di un'attività di promozione all’interno dei principali outlet in giro per l’Italia. Come cita l’articolo… “Il modello innovativo di promozione turistica prevede allestimenti e accoglienti spazi espositivi con diversi ambienti: dall’angolo food and beverage, all’area proiezioni, alla zona relax, allo spazio eventi e desk informazioni. Qui si terranno incontri, workshop e appuntamenti, con l’obiettivo di favorire l’incontro tra domanda e offerta del prodotto turistico Basilicata”.
Non voglio sindacare la bontà dell’iniziativa, frutto, immagino, di riflessioni su chi è il target e sullo strumento migliore per raggiungerlo. Mi permetto però di segnalare ancora una volta l’utilizzo improprio del termine “guerrilla”.
Guerrilla marketing è un termine stra-abusato. E quasi sempre utilizzato a sproposito.
Jay Conrad Levinson, colui cioè che ha coniato il termine, ne dà una definizione molto chiara: “Unconventional system of promotions that relies on time, energy and imagination rather than big marketing budget. Typically, guerrilla marketing campaigns are unexpected and unconventional, and consumers are targeted in unexpected places.” Eppure è un termine che evidentemente piace ai pubblicitari italiani, visto che lo utilizzano per definire (quasi) qualunque attività non riconducibile all’advertising classico. Però non è proprio così. Per lo stesso motivo per cui un video virale non può definirsi ambush marketing, come invece mi è capitato di leggere su un blog qualche giorno fa (perché viral è viral e ambush è decisamente un’altra cosa… Lo scrive anche wikipedia), allo stesso modo una semplice attività di sales promotion o al limite di p.r. non può essere chiamata guerrilla marketing.
E i primi a ribellarci a questo uso improprio dei termini dovremmo essere proprio noi che lavoriamo nel settore. Perché, come accade in ogni campo, anche nel marketing le parole sono importanti. E ancor più importante è chiamare le cose col loro nome.