Intervista a Gian Carlo Mocci - Presidente di AICEX Associazione Italiana Customer Experience
Customer Experience: tutti ne parlano, tutti la cercano ma poi (quasi) tutti inevitabilmente falliscono (parlo di aziende, naturalmente). Eppure mi rendo conto che è, e sarà sempre più, il fattore critico di successo per ogni organizzazione, indipendentemente dal settore di attività.
Ecco perché ho voluto intervistare Gian Carlo Mocci, che sull’argomento ha molto da dire.
Mi chiamo Gian Carlo Mocci e sono il referente per customer experience e CRM, in ambito Digital, nella più grande start-up italiana di tutti i tempi.
In precedenza, come responsabile clienti in una multinazionale del settore finanziario-assicurativo, ho seguito con successo attività di marketing, vendite, e CRM. E prima ancora ho lavorato in una multinazionale per la quale ho svolto audit sui processi di business di oltre 200 aziende, coordinato le attività sia operative che commerciali di vari progetti, e ricoperto il ruolo di Quality & Risk Manager con la responsabilità delle attività in Italia e in Tunisia.
Sono inoltre il Presidente di AICEX Associazione Italiana Customer Experience.
Lo scopo di AICEX è quello di essere il punto di riferimento per la Customer Experience in Italia, per supportare chi desideri migliorare l’esperienza vissuta dalle persone, qualunque sia il loro ruolo come clienti, dipendenti, fornitori, etc.
Cosa fa AICEX?
· Contribuisce al successo dei progetti di Customer Experience;
· Svolge attività di formazione per risultati eccellenti;
· Identifica le tecnologie migliori per le tue esigenze;
· Diffonde la cultura della Customer Experience.
Customer Experience: tutti ne parlano, ma non sono sicura che tutti abbiano capito esattamente cosa sia. Vuole darci una definizione?
La chiave per comprendere bene il tema è quella di focalizzarsi sulla definizione di esperienza, dalla quale poi, per nostra comodità, abbiamo coniato molte espressioni per classificare l’esperienza, basandoci su:
· ruolo attribuito alle persone (Customer, Employee, Patient, User, …)
· modalità di fruizione (Digital, Mobile, Retail, Voice, …)
· settore di mercato (Fashion, Entertainment, Education, …)
· tipologia di prodotto/servizio (Food, Delivery, Design, …)
· tipologia di attività (Driving, Shopping, Travelling, …)
e potrei continuare.
Ma cosa succede quando una persona acquista online un vestito utilizzando uno smartphone e gli viene spedito a casa? Abbiamo creato la Customer Fashion Mobile Delivery Shopping Experience.
L’esperienza è per definizione personale, ed indissolubilmente legata agli esseri umani, pertanto esiste solo un’esperienza, quella vissuta da ciascuna persona.
L’esperienza è infatti generata, veicolata, percepita per tramite di tecnologia, oggetti, spazi, e persone. E viviamo un’esperienza anche quando immaginiamo gli altri, e noi stessi, vivere esperienze.
Il termine customer experience è quindi nato semplicemente come rappresentazione della relazione tra aziende e clienti.
In un suo intervento tempo fa disse: “Ogni touchpoint è un’esperienza”. Minaccia o opportunità?
Nella relazione con le aziende le persone vivono un’unica esperienza, non esperienze separate messe in sequenza una dietro l’altra. I touch point e le customer journey sono semplicemente dei metodi utilizzati per rappresentare e schematizzare queste relazioni. I touch point non sono punti, ma sono processi, e come tali esperienze da desiderare, vivere e ricordare.
Anche il semplice touch point “fare una telefonata” si può declinare in svariati step, ricerca del numero da chiamare, composizione del numero, attesa degli squilli, attesa della risposta, risposta dell’interlocutore e via discorrendo. E noi tutti sperimentiamo quanto possa essere impegnativo o frustrante questo touch point quando chiamiamo un contact centre con IVR contorti e attese infinite.
Quindi se sappiamo gestire le esperienze i touch point sono enormi opportunità.
Esistono “buone prassi” nella Customer Experience? Aziende virtuose, esempi che può condividere?
Le buone prassi sono quelle legate alla relazione tra persone, perché tutte aziende sono fatte di persone, e tutti i clienti sono persone ma il viceversa non è vero. Un manuale di galateo e buone maniere è già una eccellente base di partenza. Poi queste modalità di relazione vanno declinate ai vari contesti e modalità di interazione, che siano essente intermediate o meno a da elementi tecnologici, i famosi canali di interazione.
Penso che le aziende debbano smettere di vedere le persone come portafogli, cercando una interazione con esse solo per chiedere di acquistare qualcosa. Se la modalità di interazione è di tipo opportunistico anche i clienti adotteranno la stessa modalità, ed infatti i livelli di infedeltà e di abbandono aumentano continuamente, anche perché, complice la tecnologia, è sempre più semplice trovare e rivolgersi a fornitori alternativi, tanto nel B2C che nel B2B.
Si racconta che il primo ad “industrializzare” le esperienze sia stato Walt Disney, con il primo parco a tema, ecco ancora oggi Disney fa scuola, che si tratti di parchi, gadget, film (della Pixar) o tv in streaming. Altri esempi di eccellenza non mancano e ciascuno con specifici punti di forza, dalla A di Amazon, che si distinse già dall’inizio per il servizio post-vendita, il primo a fare i resi senza battere ciglio, alla Z di Zappos, un e-commerce che se non ha il prodotto che cerchi ti indica il concorrente dove possa trovarlo.
Ma già 20 anni fa ci sono stati esempi di eccellenza, la Toyota fu la prima ad introdurre la garanzia per 3 anni o 100'000 chilometri, uno shock per le altre case automobilistiche in un’epoca nella quale la garanzia legale era di appena un anno e per avere un intervento in garanzia dovevi prima fare un voto alla Madonna di Lourdes.
Cosa deve fare un’azienda che da domani vuole prendersi cura in maniera seria dell’experience del suo pubblico?
Oggi più che mai viviamo nell’epoca delle esperienze, e se le aziende non riescono ad avere successo in questa epoca è anche perché spesso non utilizzano un adeguato framework per le loro strategie, progetti, attività. Peraltro, nei casi peggiori, e abbastanza frequenti, le aziende non hanno chiaro cosa sia o non sia un’esperienza, e dovrebbero pertanto tenere bene a mente questi otto elementi:
1. Le esperienze non sono solamente riconducibili ad un servizio semplice e veloce;
2. Le esperienze sono espressione del tempo che le persone giudicano ben speso;
3. Le esperienze devono essere progettate e messe in scena, come in un teatro, dove il cliente può essere sia spettatore che attore;
4. Le esperienze devono far vivere belle sensazioni e lasciare bei ricordi;
5. Il marketing delle esperienze è (molto) diverso dal marketing esperienziale
6. Le esperienze sono il livello più alto della progressione economica, partita dalle commodities e dai beni di consumo;
7. Una storia, un argomento, un tema aiutano a creare esperienze memorabili;
8. Chi progetta esperienze dovrebbe trarre ispirazione dalle regole che vigono nei teatri e nella filmografia, che per definizione progettano, coinvolgono, emozionano.
In generale può essere utile partire dalle 4 P del marketing, che comunque oggi non sono più 4, per arrivare alle 4 E dell’Esperienza, Entertainment, Emotion, Empathy, Education.
Poiché le persone fanno dei paragoni con realtà delle quali sono già clienti, e che offrono esperienze eccezionali, ecco che il metro di confronto diventa Amazon per l’e-commerce, Netflix per i servizi in streaming, WhatsApp per la messaggistica, PayPal per i pagamenti, Booking per le prenotazioni, e così discorrendo. Il rischio per le aziende, quindi, è quello di essere considerate inadeguate, con conseguenze disastrose per il business aziendale.
Cosa vede nel futuro (prossimo) della Customer Experience?
Sarà vincente chi capirà la necessità di intervenire sui processi per migliorarli, ammodernarli, automatizzarli a beneficio del business e dei clienti. Le aziende vincenti fanno proprio questo, e molti di questi processi, poi, materializzano esperienze per tutte le persone che interagiscono con l’azienda, che si tratti di clienti attuali o potenziali, dipendenti o fornitori.
È necessario cogliere appieno l’evoluzione che stiamo vivendo, partita dalle commodity e arrivata alle esperienze, attraversando prodotti e servizi. Il concetto di servitization è di 30 anni fa, e quello di experience economy di oltre 20 anni fa. Ecco, le aziende eccellenti hanno già abbracciato il concetto di experientization, mentre tante sono ancora focalizzate sui prodotti, con un divario, quindi, di parecchi decenni.